Temu, Amazon & Co: chi ci sta comprando davvero

il momento giusto per sorprenderti

Temu, Amazon & Co: chi ci sta comprando davvero

di Andrea Perocchi


🇮🇹 L’Italia? Colonizzata. Ma sorridente.

L’e-commerce italiano non è più italiano da un pezzo.

Amazon consegna il caffè, Shein decide come si vestono le ventenni, Temu trasforma il “compra ora” in un mini-videogioco e AliExpress ci spedisce da Shenzhen tutto ciò che non sapevamo di desiderare.

Nel frattempo, gli e-commerce “nostrani” – pochi, coraggiosi e spesso locali – guardano da lontano il trionfo dei colossi mondiali, che hanno fatto del Bel Paese il loro campo base preferito: alto tasso di smartphone, cultura della comodità, e una passione storica per gli sconti.

Sì, l’Italia è diventata la piazza perfetta per gli imperi digitali: un popolo di navigatori che non naviga più sul mare ma tra carrelli online.

Ma ognuno di questi giganti ha la sua arma psicologica, il suo tono di voce, il suo modo di conquistare (o manipolare) il consumatore.

Benvenuti nel marketing delle emozioni sintetiche.


Amazon: l’impero della fiducia impersonale

Amazon non vende prodotti: vende tranquillità mentale.

È il supermercato dell’universo, dove tutto funziona, tutto arriva, tutto si restituisce senza domande.

Il suo segreto? La frizione zero.

Non c’è tempo per pensare, per cercare altrove, per confrontare davvero. È l’apoteosi dell’autopilota.

Il design è neutro, il linguaggio è asettico, la grafica fa schifo ma funziona. Perché? Perché Amazon non ti seduce, ti addestra.

Ogni click è un riflesso condizionato.

E quando l’utente diventa riflesso, l’impero vince.

Nota smaliziata: Amazon non ti chiede fiducia. Se la prende in silenzio, e te la riconsegna in 24 ore.


eBay: l’archeologia del web

C’era una volta il sogno democratico dell’e-commerce: il mercatino globale, dove chiunque poteva vendere, barattare, contrattare. Poi è arrivato Amazon.

Oggi eBay è il vecchio zio rock del web: affascinante ma stanco, nostalgico dei tempi in cui “offrivi” per una fotocamera e provavi adrenalina.

Ora è diventato una via di mezzo tra outlet e antiquariato digitale.

C’è ancora roba interessante, ma devi scavare. E nessuno ha più tempo di scavare.

Il marketing? Quasi inesistente. Le campagne sembrano ferme al 2015.

eBay vive di inerzia, e l’inerzia – sul web – è la versione elegante del declino.

Nota smaliziata: eBay oggi è come MySpace: c’è ancora, ma nessuno sa perché.


AliExpress & Alibaba: la fabbrica del mondo travestita da bazar

AliExpress è la prova vivente che la distanza non esiste più.

I prodotti arrivano da Shenzen o Guangzhou più velocemente di una raccomandata da Milano a Palermo.

E dietro quell’interfaccia colorata e caotica, c’è un mostro logistico chiamato Alibaba Group, che muove container come fossero caramelle.

La strategia è brutale: prezzo e volume.

La psicologia è geniale: compra ora, costa meno di un caffè, e magari ti arriva in un mese (ma che importa?)

Il linguaggio è quello della scarsità: “Ultimi pezzi!”, “Promo lampo!”, “-90% per 3 ore!”.

La comunicazione è un flusso continuo di urgenza artificiale.

Nota smaliziata: AliExpress è il bazar globale dove tutto è possibile, compreso comprare un drone a 12 euro e ricevere un portachiavi. Ma l’utente, stranamente, è felice lo stesso.


Shein: TikTok con il carrello sotto

Shein è la Netflix del vestito usa e getta.

Ogni giorno migliaia di nuovi capi, micro-collezioni per ogni micro-nicchia, influencer ovunque e un algoritmo che sa chi sei, come ti senti e che colore ti serve oggi per sembrare felice.

Il target è la Gen Z, cresciuta con il doppio tap.

Qui l’esperienza è puro intrattenimento: scrolli, desideri, compri, scrolli ancora.

Shein non è un e-commerce: è una piattaforma di contenuti che casualmente vende vestiti.

Il suo marketing è chirurgico: micro-influencer, challenge virali, sconti personalizzati, video haul.

Nessuna marca italiana ha mai saputo parlare così direttamente all’inconscio digitale.

Nota smaliziata: Shein non ti vende un outfit, ti vende un’identità temporanea con spedizione gratuita.


Temu: il videogioco dell’acquisto compulsivo

E poi c’è Temu, il nuovo padrone del caos.

Un’app che sembra uscita da un laboratorio di psicologia comportamentale più che da un’azienda tech.

Colori saturi, notifiche costanti, “offerte lampo”, “ruote della fortuna”, “regala 50 euro ai tuoi amici” – ogni cosa grida dopamina!

Il claim “Compra come un miliardario” è un colpo di genio.

Temu non vende, fa giocare a comprare.

Ogni prodotto è una missione, ogni carrello è un livello sbloccato.

Il business model? Dumping puro: vendere sottocosto, acquisire utenti, comprare la mente prima ancora che il portafoglio.

Temu è quello che Wish sognava di essere prima di autodistruggersi.

E sì, è spaventoso quanto funziona.

In un Paese dove la gratificazione immediata è la nuova religione, Temu è il prete e la messa insieme.

Nota smaliziata: Temu non ti vende oggetti, ti vende endorfine a prezzo outlet.


Zalando e gli altri: la precisione tedesca con cuore UX

Mentre gli altri giocano a chi urla di più, Zalando resta lì, composto, efficiente, europeo.

È il regno della user experience perfetta, dove il tono è calmo, la grafica pulita, il servizio clienti impeccabile.

È Amazon, ma con più gusto.

Il segreto di Zalando? La fiducia senza rumore.

Reso gratuito, taglie chiare, e-mail che non stressano.

Zalando non ti conquista: ti educa al rispetto digitale.

E intanto i colossi “ibridi” italiani (Unieuro, Mediaworld, Decathlon, Esselunga Online) fanno quello che possono: integrano store fisico e web, ma faticano a generare lo stesso desiderio.

Perché non basta digitalizzare un negozio per diventare e-commerce. Serve mentalità da piattaforma, e quella non si compra su Temu.


Wish, Vinted e i “wannabe”

Wish è stato il primo esperimento di e-commerce dopaminico: offerte assurde, prodotti improbabili, logistica allucinante. È durato quanto una storia su Instagram.

Poi è arrivato Vinted, e ha fatto una magia: ha trasformato la second hand economy in un movimento.

Qui non compri, scambi appartenenza.

Il marketing di Vinted è geniale nella sua semplicità: “Non lo usi? Vendilo”.

Traduzione: non è consumo, è catarsi.

Un mix perfetto di sostenibilità, storytelling e community.

E soprattutto, un segnale: i giovani non vogliono solo spendere meno, vogliono sentirsi più furbi del sistema.


Gli italiani e il paradosso del made in altrove

Il consumatore italiano del 2025 vive una schizofrenia serena.

Predica il “made in Italy”, ma compra da magazzini cinesi.

Parla di etica, ma clicca su “offerta lampo -90%”.

Si lamenta dell’invasione digitale, ma si sveglia con una notifica Temu e va a dormire con una wishlist Amazon.

La verità è che non siamo vittime, siamo complici.

Ci piace essere serviti, ci piace l’illusione della scelta infinita.

Ogni e-commerce globale ci regala un ruolo: Amazon ci fa sentire organizzati, Shein trendy, Temu intelligenti (perché “ho trovato un affare”), Zalando sofisticati.

Siamo clienti e personaggi dentro un gigantesco gioco di ruolo economico.

E nel frattempo, i pochi e-commerce italiani che resistono — quelli che vendono davvero valore, servizio e autenticità — devono gridare per farsi sentire sopra il rumore del prezzo più basso.


Conclusione: ci stanno comprando, ma sorridendo

Alla fine della fiera, l’Italia è un mercato perfetto: passionale, disorganizzato, emozionale.

Cioè: la Disneyland del marketing.

I giganti globali non ci conquistano con i dati, ma con le emozioni travestite da offerte.

Amazon ci tranquillizza, Temu ci diverte, Shein ci distrae, AliExpress ci incuriosisce, Zalando ci rassicura.

Ognuno tocca una corda psicologica diversa, e noi, docili, balliamo.

La sfida, per chi fa comunicazione e impresa oggi, è un’altra: capire come restituire senso al valore, in un mondo dove l’unica leva che resta è il prezzo o la dipendenza.

Perché se il futuro dell’e-commerce è solo una guerra di dopamina, allora il prodotto non è più il bene.

Il prodotto siamo noi.


🧭 Insomma…

Il marketing lo raccontano tutti. Noi lo smontiamo.

Seguici per restare sveglio in mezzo agli algoritmi.

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